Il complesso dei monasteri siciliani nei secoli XII-XVI è vasto e frammentato a livello di ordini; sicuramente la loro sussistenza era sempre legata a quella delle famiglie più facoltose, perché le aspiranti, per essere accolte in una comunità religiosa claustrale dovevano avere una dote personale. A volte le famiglie di origine computavano la dote in terreni o in beni immobili, per consentire alle monache di mantenersi. A volte, alcuni privati, spontaneamente, lasciavano parte dei loro beni ai monasteri, legandovi censi di messe, obblighi di particolari preghiere e la sepoltura nella chiesa del monastero stesso. I monasteri avevano un grande impatto sul tessuto urbano dei piccoli centri storici, sia dal punto di vista dei volumi che del peso sociale, e ciò è vero anche per Cammarata, in cui dal XV al XIX secolo, si istituirono due monasteri femminili, entrambi di Regola benedettina.Vi potevano essere ammesse come educande, interne o, da esterne, le ragazze appartenenti alle famiglie più abbienti di Cammarata e dei paesi vicini e, molte di esse, dopo aver scelto la vita religiosa, vi trascorrevano tutta la vita consacrata, conferendo al monastero una dote che le sostentava.
La dote che portavano le novizie, versata totalmente al momento della professione, poteva consistere in beni immobili (case o terreni) o in moneta; quando i primi risultavano infruttuosi e non gestibili, la badessa, dopo che aveva chiesto l’autorizzazione al vescovo, li metteva in vendita o li affittava, non senza il consenso del Capitolo, ossia dell’assemblea della comunità monastica, in cui si discutono tutti gli affari inerenti al monastero e si prendono tutte le decisioni ufficiali, sui soggetti e sui beni, con votazioni e appositi verbali, in forma democratica. Al Capitolo potevano avere voce attiva e passiva le professe solenni (o perpetue) ed erano escluse le converse, le novizie, le oblate e le educande, le quali non avevano titoli di professione per potervi accedere.
La dote che portavano le novizie, versata totalmente al momento della professione, poteva consistere in beni immobili (case o terreni) o in moneta; quando i primi risultavano infruttuosi e non gestibili, la badessa, dopo che aveva chiesto l’autorizzazione al vescovo, li metteva in vendita o li affittava, non senza il consenso del Capitolo, ossia dell’assemblea della comunità monastica, in cui si discutono tutti gli affari inerenti al monastero e si prendono tutte le decisioni ufficiali, sui soggetti e sui beni, con votazioni e appositi verbali, in forma democratica. Al Capitolo potevano avere voce attiva e passiva le professe solenni (o perpetue) ed erano escluse le converse, le novizie, le oblate e le educande, le quali non avevano titoli di professione per potervi accedere.
L’ordine delle Benedettine fu quello più diffuso in Sicilia, come si evince dalle carte del portale web del Progetto internazionale CLAUSTRA dell'IRCVM (Institut de Recerca en Cultures Medievals) dell'Università di Barcellona che mira a creare una catalogazione dettagliata di tutte le strutture religiose di Spagna, Portogallo e Italia.
I monasteri venivano solitamente costruiti vicino ad un corso d'acqua e l'intero complesso monastico era orientato in modo che l'acqua potesse essere convogliata verso le fontane e la cucina, prima di raggiungere la lavanderia ed i bagni o i balnea.
In questa carta è possibile vedere che nel XVI secolo, in alcuni comuni intorno a Cammarata esistevano altri monasteri benedettini femminili, ossia quelli di Bivona e di Sutera e, avendo poche notizie sul Monastero di Cammarata, con i ragazzi abbiamo pensato di recuperare delle notizie sugli altri due, supponendo che le strutture e il funzionamento dei monasteri all’epoca fossero tutte abbastanza simili e di poter fare delle analogie.
I monasteri venivano solitamente costruiti vicino ad un corso d'acqua e l'intero complesso monastico era orientato in modo che l'acqua potesse essere convogliata verso le fontane e la cucina, prima di raggiungere la lavanderia ed i bagni o i balnea.
In questa carta è possibile vedere che nel XVI secolo, in alcuni comuni intorno a Cammarata esistevano altri monasteri benedettini femminili, ossia quelli di Bivona e di Sutera e, avendo poche notizie sul Monastero di Cammarata, con i ragazzi abbiamo pensato di recuperare delle notizie sugli altri due, supponendo che le strutture e il funzionamento dei monasteri all’epoca fossero tutte abbastanza simili e di poter fare delle analogie.
il Monastero benedettino di San Paolo a Bivona
Per quanto riguarda il monastero benedettino femminile di Bivona, dedicato a San Paolo, esso viene citato nella visita pastorale del vescovo di Agrigento del 1540 ma non sappiamo quando era stato fondato di preciso. Esso non esiste più perché qualche decennio fa i ruderi sono stati demoliti e nello stesso luogo sono state edificati un istituto scolastico e la sede dell'A.S.L. di Bivona. Ne esiste però una bellissima ricostruzione in un plastico, realizzato in 25 anni di lavoro dal signor Paolo Cuccia e da lui donato al Comune di Bivona, nel quale si vede integro insieme al contesto dell’epoca: vedendo il giardino pressoché rettangolare, l’ edificio semplice a due piani che lo affianca, il corso d’acqua incanalato all’interno, la vasca d’acqua, siamo portati a pensare che possa essere stato somigliante a quello dell’Annunziata di Cammarata. Nel 1543 esso contava 27 religiose, ma poi anche di più, quindi con una consistenza un po’ maggiore rispetto a quello dell'Annunziata di Cammarata
il Monastero benedettino di Santa Maria della Grazia a Sutera
Neanche del monastero benedettino di Sutera dedicato a Santa Maria della Grazia sopravvive più nulla, ma dalle informazioni riportate dal Dott. Giuseppe Verde sul portale www.ub.edu/claustra, e dalle foto e dalle informazioni forniteci dalla insegnante suterese del nostro Istituto Assunta Sanfilippo, si deduce una storia simile a quella dei monasteri dell’Annunziata e di Santa Domenica: anche qui prima sorse un monastero in zona periferica nel rione Palmitello, in basso rispetto al centro. Era costituita da più corpi di fabbrica bassi con giardini e chiesa (Nicastro, 1980, p. 25); di questo monastero nel sito rimane il toponimo, via Badiavecchia.
Negli anni esso ebbe problemi di dissesti strutturali, per frane e anche a causa di ristrettezze economiche. Nel XVIII secolo ne sorse un secondo, nel quale le monache si trasferirono nella zona centrale del paese, prossima alla chiesa di Sant’Agata, posizione più protetta e favorevole alla vita della comunità religiosa. Questa nuova struttura era divisa in locali posti su due livelli; al piano terra vi erano le officine: il parlatorio, la cappella, la cucina, il forno, il refettorio, la lavanderia ed, esternamente alla cucina, un piccolo orto; al primo piano, oltre alle celle, vi era la sala comune da lavoro, nel gergo monastico detta lavoriere (Nicastro, 1980, p. 30). Possiamo supporre anche qui una similitudine con il monastero di Cammarata. In una parte di quel monastero, dopo la soppressione risorgimentale, nel primo Novecento, ha trovato sede il Comune di Sutera.
notizie sulla vita quotidiana del Monastero benedettino femminile di Sutera
Della vita interna al Monastero benedettino femminile di Sutera ci sono arrivate alune importanti informazioni tratte dai documenti, dal libro di Lucio NICASTRO, Cronache suteresi del XVIII secolo, Caltanissetta 2012, e dal sito http://www.ub.edu/claustra/ita/Monestirs. Per analogia possiamo pensare che fossero simili a quelle di altri monasteri e quindi anche del Monastero dell'Annunziata di Cammarata.
Sappiamo che nel monastero benedettino di Sutera le chiavi della clausura e dei dormitori seguivano delle regole ferree e a nessuna delle suore era permesso restare al piano terra del monastero, pena la scomunica o la segregazione in una cella.
La badessa controllava anche l’apertura e la chiusura della chiesa, dopo le funzioni, ed era vigile a che le suore non utilizzassero l’oratorio come parlatorio (Nicastro 1980, pp. 38-39). L’elezione della badessa, espletata ogni tre anni, in capitolo, avveniva per votazione a scrutinio segreto, di tutte le monache professe solenni, alla presenza del vicario foraneo e dei due deputati del monastero, seguendo un cerimoniale prestabilito. Al ruolo di badessa potevano essere elette solo le suore che avessero compiuto il quarantesimo anno di età e che avessero 15 anni di professione meritevole, ossia senza nessun provvedimento disciplinare a loro carico.
Secondo lo studioso Nicastro, nel monastero benedettino femminile di Sutera l’elezione della badessa prevedeva che al primo scrutinio si sarebbero dovuti annotare i voti e finita questa fase la nuova eletta avrebbe avuto quindici giorni per accettare o rifiutare l’incarico; in caso di rinuncia si sarebbe fatte una nuova votazione, e così al massimo per tre volte. Se anche la terza votazione fosse risultata infruttuosa, l’elezione sarebbe avvenuta d’ufficio per mano del vescovo, che avrebbe dovuto valutare i verbali delle tre votazioni, dove avrebbero dovuto essere indicati anche i dati anagrafici delle consorelle (Nicastro, 1980, pp.39 - 41).
Le giornate nel monastero di Sutera, e supponiamo anche degli altri simili tra cui quello dell’Annunziata di Cammarata, erano scandite da precisi ritmi (Nicastro, 1980, pp. 45-47), 4 indicati nella Regola di San Benedetto e nelle Costituzioni del ramo benedettino di appartenenza (vi erano diverse congregazioni all’interno dell’Ordine Benedettino che facevano capo ai grandi monasteri maschili di Subiaco, da cui la Congregazione Subiacense, o di Cassino, da cui la Congregazione Cassinese); i monasteri benedettini siciliani femminili gravitavano intorno alle grandi abbazie maschili dello stesso Ordine, a cui spesso erano affiliati e dalla cui assistenza spirituale dipendevano, come ad esempio San Martino delle Scale a Monreale o San Nicola l’Arena a Catania.
Ci si alzava prima che sorgesse il sole, al suono di una campanella; solitamente, nei monasteri dove non era possibile ricavare celle singole, le monache dormivano nei grandi dormitori comuni con i letti separati dalle tende. Spesso erano riscaldati da un camino o dai bracieri accesi prima del riposo.
Durante la vestizione, con segno di estrema umiltà verso Dio, la madre badessa intonava il Te Deum Laudamus, accompagnata nel canto dalle altre religiose e ci si doveva inginocchiare e pregare davanti al letto in rigido silenzio; al comando della madre badessa, le consorelle si alzavano e in processione, uscendo dal dormitorio, recitavano la “Litania dei santi”, dirigendosi verso il coro della Chiesa. Tutte le consorelle avevano l’obbligo di essere presenti, salvo che non fossero esentate per malattia o convalescenza, in ogni caso attestate dal medico del monastero; aperta la chiesa, si disponevano in modo da poter ascoltare la messa; alla fine della celebrazione si spostavano nei luoghi deputati al lavoro, dove svolgevano le loro attività, sempre in meditazione e preghiera; all’ora di pranzo si riunivano nella mensa comune; al Vespro tornavano nel coro, dove recitavano le “dovute preghiere”; al suono dell’Ave Maria, dopo che le consorelle si ritiravano, erano serrate le porte del parlatorio e della Chiesa e le chiavi venivano consegnate al Vicario, che le avrebbe custodite fino al mattino seguente quando, con il sagrestano, le avrebbero riconsegnate mezz’ora prima dello spuntar del sole; alla fine della cena alle suore era consentito, in un luogo comune, un momento di ricreazione; si andava a letto in estate alla 22.00, mentre in inverno alle 20.00.
Ad un segno della Badessa le suore, in religioso silenzio, si recavano nel dormitorio, dove avrebbero fatto singolarmente mezz’ora di orazioni e di esame di coscienza; sempre in scrupoloso silenzio le suore andavano a letto, mentre la superiora aveva il compito di controllare che queste operazioni avvenissero correttamente; dopo aver assistito a quest'operazione anche questa andava a letto. Una figura rilevante nella vita del monastero oltre alla badessa, era quella della suora portinaia, o rotara, la quale doveva essere ”persona grande d’età e zelante dell’honor di Dio alla quale spetterà aprire la porta della clausura per ogni volta vi sarà necessità si per entrare robba in detto Monastero o persona o altro che fosse di Confessore, medico, molinaro o garzone” (Nicastro, 1980, p. 57). Infatti erano soltanto queste le figure maschili che potevano accedere al monastero. Le suore che entravano in convento, avrebbero fatto rinuncia dei loro beni, e se anche non avessero preso i voti definitivi, le doti sarebbero rimaste all’ordine. Queste costumanze potevano avere delle varianti che dipendevano dagli Statuti propri del Monastero o da consuetudini locali codificate.
Sappiamo che nel monastero benedettino di Sutera le chiavi della clausura e dei dormitori seguivano delle regole ferree e a nessuna delle suore era permesso restare al piano terra del monastero, pena la scomunica o la segregazione in una cella.
La badessa controllava anche l’apertura e la chiusura della chiesa, dopo le funzioni, ed era vigile a che le suore non utilizzassero l’oratorio come parlatorio (Nicastro 1980, pp. 38-39). L’elezione della badessa, espletata ogni tre anni, in capitolo, avveniva per votazione a scrutinio segreto, di tutte le monache professe solenni, alla presenza del vicario foraneo e dei due deputati del monastero, seguendo un cerimoniale prestabilito. Al ruolo di badessa potevano essere elette solo le suore che avessero compiuto il quarantesimo anno di età e che avessero 15 anni di professione meritevole, ossia senza nessun provvedimento disciplinare a loro carico.
Secondo lo studioso Nicastro, nel monastero benedettino femminile di Sutera l’elezione della badessa prevedeva che al primo scrutinio si sarebbero dovuti annotare i voti e finita questa fase la nuova eletta avrebbe avuto quindici giorni per accettare o rifiutare l’incarico; in caso di rinuncia si sarebbe fatte una nuova votazione, e così al massimo per tre volte. Se anche la terza votazione fosse risultata infruttuosa, l’elezione sarebbe avvenuta d’ufficio per mano del vescovo, che avrebbe dovuto valutare i verbali delle tre votazioni, dove avrebbero dovuto essere indicati anche i dati anagrafici delle consorelle (Nicastro, 1980, pp.39 - 41).
Le giornate nel monastero di Sutera, e supponiamo anche degli altri simili tra cui quello dell’Annunziata di Cammarata, erano scandite da precisi ritmi (Nicastro, 1980, pp. 45-47), 4 indicati nella Regola di San Benedetto e nelle Costituzioni del ramo benedettino di appartenenza (vi erano diverse congregazioni all’interno dell’Ordine Benedettino che facevano capo ai grandi monasteri maschili di Subiaco, da cui la Congregazione Subiacense, o di Cassino, da cui la Congregazione Cassinese); i monasteri benedettini siciliani femminili gravitavano intorno alle grandi abbazie maschili dello stesso Ordine, a cui spesso erano affiliati e dalla cui assistenza spirituale dipendevano, come ad esempio San Martino delle Scale a Monreale o San Nicola l’Arena a Catania.
Ci si alzava prima che sorgesse il sole, al suono di una campanella; solitamente, nei monasteri dove non era possibile ricavare celle singole, le monache dormivano nei grandi dormitori comuni con i letti separati dalle tende. Spesso erano riscaldati da un camino o dai bracieri accesi prima del riposo.
Durante la vestizione, con segno di estrema umiltà verso Dio, la madre badessa intonava il Te Deum Laudamus, accompagnata nel canto dalle altre religiose e ci si doveva inginocchiare e pregare davanti al letto in rigido silenzio; al comando della madre badessa, le consorelle si alzavano e in processione, uscendo dal dormitorio, recitavano la “Litania dei santi”, dirigendosi verso il coro della Chiesa. Tutte le consorelle avevano l’obbligo di essere presenti, salvo che non fossero esentate per malattia o convalescenza, in ogni caso attestate dal medico del monastero; aperta la chiesa, si disponevano in modo da poter ascoltare la messa; alla fine della celebrazione si spostavano nei luoghi deputati al lavoro, dove svolgevano le loro attività, sempre in meditazione e preghiera; all’ora di pranzo si riunivano nella mensa comune; al Vespro tornavano nel coro, dove recitavano le “dovute preghiere”; al suono dell’Ave Maria, dopo che le consorelle si ritiravano, erano serrate le porte del parlatorio e della Chiesa e le chiavi venivano consegnate al Vicario, che le avrebbe custodite fino al mattino seguente quando, con il sagrestano, le avrebbero riconsegnate mezz’ora prima dello spuntar del sole; alla fine della cena alle suore era consentito, in un luogo comune, un momento di ricreazione; si andava a letto in estate alla 22.00, mentre in inverno alle 20.00.
Ad un segno della Badessa le suore, in religioso silenzio, si recavano nel dormitorio, dove avrebbero fatto singolarmente mezz’ora di orazioni e di esame di coscienza; sempre in scrupoloso silenzio le suore andavano a letto, mentre la superiora aveva il compito di controllare che queste operazioni avvenissero correttamente; dopo aver assistito a quest'operazione anche questa andava a letto. Una figura rilevante nella vita del monastero oltre alla badessa, era quella della suora portinaia, o rotara, la quale doveva essere ”persona grande d’età e zelante dell’honor di Dio alla quale spetterà aprire la porta della clausura per ogni volta vi sarà necessità si per entrare robba in detto Monastero o persona o altro che fosse di Confessore, medico, molinaro o garzone” (Nicastro, 1980, p. 57). Infatti erano soltanto queste le figure maschili che potevano accedere al monastero. Le suore che entravano in convento, avrebbero fatto rinuncia dei loro beni, e se anche non avessero preso i voti definitivi, le doti sarebbero rimaste all’ordine. Queste costumanze potevano avere delle varianti che dipendevano dagli Statuti propri del Monastero o da consuetudini locali codificate.