le origini
Le origini del monastero dell’Annunziata non sono ad oggi chiare: lo storico cammaratese Domenico De Gregorio, rifacendosi a sua volta al Pirro come prima fonte autorevole, ne colloca la fondazione nell'era degli Abatellis, che a Cammarata si può collocare tra il 1435 e il 1500.
Secondo il Dott. Emilio Vinti, che ha curato gentilmente un incontro con i ragazzi durante il laboratorio pomeridiano a scuola e gli splendidi video ricostruttivi delle origini di Cammarata, visibili presso la torre del castello, il monastero sorgeva lungo la via di transumanza che veniva attraversata periodicamente dalle greggi, accompagnate ai pascoli più alti di Cammarata, durante i mesi caldi, seguendo il corso del torrente Turibolo ( vedi pagina del sito ad esso dedicata).
La zona più antica del centro abitato del paese, precedente all’anno Mille, effettivamente è proprio quella a quota più bassa, corrispondente agli attuali quartieri di Piazza della Vittoria (che è stato il vero centro del paese per lungo tempo) e della Gianguarna, dove era sito il monastero. Solo in un secondo momento l’edificazione si espanse verso l’alto, al di sopra del Castello e attorno alla Chiesa di San Vito, probabilmente all’origine una Gancia Benedettina che nel 1585 divenne chiesa sacramentale, suffraganea della Madrice. Infine l'abitato si espanse in alto fino ad arrivare agli 800 metri sul livello del mare, attorno alla Chiesa e del convento francescano di Santa Maria di Cacciapensieri (alias Santa Maria di Gesù).
L' unica "immagine" che abbiamo del monastero è lo scorcio, non sappiamo quanto fedele, nella tela dell’immacolata con Sant'Ignazio e San Francesco Saverio, custodita presso l’altare di San Calogero della Chiesa Madre di Cammarata, che riporta una vista del nostro paese nel 1662.
Alcuni documenti che parlano, in maniera specifica, del Monastero dell’Annunziata di Cammarata sono conservati presso l’Archivio della Chiesa Madre, studiati dal De Gregorio. Essi sostanzialmente riportano informazioni sulle badesse che si successero nei secoli, sulle date della loro elezione o della loro morte, così come su quella delle monache. Purtroppo sono stati dispersi gli archivi propri dei monasteri, durante le soppressioni, elemento che lascia un grande vuoto alla ricerca storica.
Dell’edificio del monastero oggi non esiste traccia e non sappiamo neanche con precisione che sagoma avesse e dove fosse realmente collocato: è probabile che si trovasse dove oggi è ubicata una palazzina dell'Istituto Case Popolari, ma non si può escludere che almeno una parte ricadesse all’interno o nell’immediato perimetro dell’attuale giardino. Appena sarà possibile avviare il laboratorio di analisi del terreno con il georadar, già progettato in collaborazione con l’Istituto Professionale “Archimede” di Cammarata, speriamo di poter trovare elementi per capire meglio.
Dell’edificio del monastero oggi non esiste traccia e non sappiamo neanche con precisione che sagoma avesse e dove fosse realmente collocato: è probabile che si trovasse dove oggi è ubicata una palazzina dell'Istituto Case Popolari, ma non si può escludere che almeno una parte ricadesse all’interno o nell’immediato perimetro dell’attuale giardino. Appena sarà possibile avviare il laboratorio di analisi del terreno con il georadar, già progettato in collaborazione con l’Istituto Professionale “Archimede” di Cammarata, speriamo di poter trovare elementi per capire meglio.
Sul fianco della Chiesa si intravedono due muri alti tranciati ed potrebbe essere plausibile pensare che appartenessero ad un corpo di fabbrica del monastero ad essa perpendicolare. Di certo l’edificio non era di piccole dimensioni, dato che ospitò fino a 30 monache, ed era dotato di ambienti ben definiti come il refettorio, la cucina, il noviziato, l’infermeria e, molto probabilmente, un chiostro (potrebbe trattarsi de il baglio citato a volte nei documenti?). Per le monache di Clausura il chiostro era un luogo necessario alla vita religiosa, in esso si prendeva aria, si svolgevano spesso le ricreazioni, si passeggiava e spesso si lavorava, protette dal sole, dalla pioggia e dalle intemperie. La porta in alto sul muro perimetrale potrebbe anche far pensare ad un edificio crollato a due piani ed essa potrebbe essere stata un'uscita di servizio. ma sono solo supposizioni al momento
Nella mappa del catasto borbonico, del 1837-1853, il monastero viene indicato come "diruto” e purtroppo la sua sagoma catastale sembra coincidere con la porzione di terreno occupata da un edificio per civile abitazione e dalla strada sottostante.
Catasto borbonico del 1837-1853 del centro abitato di Cammarata e suo particolare con l'area del Monastero dell'Annunziata indicato con la lettera "b", in legenda "monastero diruto".
(dal Portale web del Centro Regionale per l'Inventario, la Catalogazione e la documentazione dei Beni Culturali della Regione Siciliana)
le visite pastorali
Le visite pastorali sono documentate dai verbali redatti dal Vescovo, o da un suo segretario o convisitatore, in occasione della visita compiuta, in una parrocchia o in un’istituzione ecclesiastica della diocesi6 e a volte contengono descrizioni delle chiese, dei monasteri, degli oratori, degli ospedali, dei monti di pietà, e degli arredi sacri in essi contenuti. Esse sono quindi una fonte di prima mano per la storia religiosa locale, di straordinaria importanza, in quanto, a volte contribuiscono, anche indirettamente, a far luce sulle diverse realtà religiose del paese, sotto molteplici aspetti quali la storia, l’arte, l'architettura, l’urbanistica, la demografia, le tradizioni. Solitamente negli archivi parrocchiali vengono conservati appunti e minute di documenti presentati dal parroco in occasione della visita pastorale, mentre nell’archivio diocesano di pertinenza vengono conservati a volte appunti, disposizioni e raccomandazioni del Vescovo sui luoghi visitati, per migliorarne la funzionalità in vista della loro attività liturgica e la disciplina interna. Esse sono attestate con una certa frequenza solo a partire dal XIV secolo, e poi soprattutto dopo il Concilio di Trento, ossia dalla seconda metà del Cinquecento. Molti storici contemporanei le hanno rivalutate come una delle fonti documentali fondamentali per la conoscenza del territorio e della sua vita religiosa.
Il vescovo diocesano aveva diritto a visitare tutti i luoghi sacri che ricadevano sotto la sua giurisdizione: parrocchie, chiede coadiutrici o sacramentali, rettorie, monasteri, conventi, oratori pubblici (di confraternite o di famiglie nobili), ospedali, collegi, conservatori, monti di pietà, istituzioni assistenziali e caritative. Quelle che non cadevano sotto la sua giurisdizione non poteva visitarli. Generalmente tutti i monasteri femminili, per la maggior parte erano sotto la sua giurisdizione ed egli li poteva visitare di persona o tramite un suo delegato (Vicario).
Il vescovo diocesano aveva diritto a visitare tutti i luoghi sacri che ricadevano sotto la sua giurisdizione: parrocchie, chiede coadiutrici o sacramentali, rettorie, monasteri, conventi, oratori pubblici (di confraternite o di famiglie nobili), ospedali, collegi, conservatori, monti di pietà, istituzioni assistenziali e caritative. Quelle che non cadevano sotto la sua giurisdizione non poteva visitarli. Generalmente tutti i monasteri femminili, per la maggior parte erano sotto la sua giurisdizione ed egli li poteva visitare di persona o tramite un suo delegato (Vicario).
tavola sinottica dei pontefici romani e dei vescovi di Agrigento dal XVI al XVIII secolo ( dal sito dell' Archivio Storico Diocesano Agrigento)
le visite pastorali al monastero dell'Annunziata
Nel nostro caso le fonti principali a cui fare riferimento per la ricostruzione della vita del monastero dell'Annunziata al momento rimangono i verbali delle Visite pastorali dei vescovi di Agrigento, conservati presso l’Archivio Storico Diocesano.
Grazie inoltre al contributo delle archiviste della Soprintendenza BB.CC.AA. di Agrigento, nostro partner ufficiale nel progetto, le Dott.sse Paola Giarratana e Maria Carmelina Mecca, abbiamo potuto acquisire preziose informazioni, che riportiamo di seguito, perché dirette e da fonti di prima mano.
Le visite pastorali dei Vescovi di Agrigento iniziarono nel 1540. Nei due secoli di vita documentata del monastero, esso fu visitato ufficialmente almeno sette volte, in particolare:
- tre volte nella seconda metà del Cinquecento,
- due volte nel XVII secolo (nel 1608 e nel 1669)
- due nell’agosto del 1732.
La visita del 1540 viene indicata come “Visita all’abbazia delle monache sotto il titolo di Santa Maria Annunziata”; nel 1579 si rileva che il monastero era abitato da 17 monache e dalla badessa, nel 1587, in un documento conservato nell’Archivio della Chiesa Madre il De Gregorio riporta che le suore fossero 38, indicando molto probabilmente l’apice demografico più alto della storia del monastero, il momento più florido e attivo della sua storia.
- Nel 1581, in un documento conservato presso l’Archivio Storico della Diocesi Agrigento, si legge:
<Si ordina alle badesse dei monasteri di Santa Domenica e dell’Annunziata di chiedere “li alimenti anticipati” alle fanciulle che entreranno per educarsi. Le educande che si trovano già in monastero dovranno pagare entro otto giorni. Le ragazze di 20 anni, se non possono divenire monache “per loro difetti, infermità e non saper leggere” entro otto giorni devono lasciare il monastero>. Si tratta certamente di un provvedimento di ordine disciplinare che mirava a stabilire dei criteri di ordine nella gestione degli educandati interni ai monasteri, che Conferma la funzione quali centri di educazione per ragazze benestanti, ma anche l’attenzione alla loro gestione economica.
- Nella visita pastorale del 20 ottobre del 1609 il “nostro” monastero viene menzionato come ”Monastero di Maria SS.ma Annunciata esistente presso il vallone sulla parte inferiore di questa terra”, facendo riferimento quindi al torrente Turibolo, che scorreva accanto al monastero ma che oggi non è più visibile, perché negli anni Settanta del secolo scorso è stato intubato. Il piccolo ma importante corso d’acqua era una risorsa, ma contemporaneamente rappresentava un pericolo, per le frane e gli allagamenti che lo interessavano nei periodi di piena. Il torrente fu una delle risorse anche di un'altra istituzione religiosa cammaratese: la chiesa e il convento degli Agostiniani scalzi (Sant’Agostino), ma come per il monastero dell’Annunziata esso fu anche la causa della rovina del complesso conventuale Fu proprio a causa di una di queste frane che l’edificio benedettino fu ritenuto pericolante e abbandonato alla sua sorte.
Grazie inoltre al contributo delle archiviste della Soprintendenza BB.CC.AA. di Agrigento, nostro partner ufficiale nel progetto, le Dott.sse Paola Giarratana e Maria Carmelina Mecca, abbiamo potuto acquisire preziose informazioni, che riportiamo di seguito, perché dirette e da fonti di prima mano.
Le visite pastorali dei Vescovi di Agrigento iniziarono nel 1540. Nei due secoli di vita documentata del monastero, esso fu visitato ufficialmente almeno sette volte, in particolare:
- tre volte nella seconda metà del Cinquecento,
- due volte nel XVII secolo (nel 1608 e nel 1669)
- due nell’agosto del 1732.
La visita del 1540 viene indicata come “Visita all’abbazia delle monache sotto il titolo di Santa Maria Annunziata”; nel 1579 si rileva che il monastero era abitato da 17 monache e dalla badessa, nel 1587, in un documento conservato nell’Archivio della Chiesa Madre il De Gregorio riporta che le suore fossero 38, indicando molto probabilmente l’apice demografico più alto della storia del monastero, il momento più florido e attivo della sua storia.
- Nel 1581, in un documento conservato presso l’Archivio Storico della Diocesi Agrigento, si legge:
<Si ordina alle badesse dei monasteri di Santa Domenica e dell’Annunziata di chiedere “li alimenti anticipati” alle fanciulle che entreranno per educarsi. Le educande che si trovano già in monastero dovranno pagare entro otto giorni. Le ragazze di 20 anni, se non possono divenire monache “per loro difetti, infermità e non saper leggere” entro otto giorni devono lasciare il monastero>. Si tratta certamente di un provvedimento di ordine disciplinare che mirava a stabilire dei criteri di ordine nella gestione degli educandati interni ai monasteri, che Conferma la funzione quali centri di educazione per ragazze benestanti, ma anche l’attenzione alla loro gestione economica.
- Nella visita pastorale del 20 ottobre del 1609 il “nostro” monastero viene menzionato come ”Monastero di Maria SS.ma Annunciata esistente presso il vallone sulla parte inferiore di questa terra”, facendo riferimento quindi al torrente Turibolo, che scorreva accanto al monastero ma che oggi non è più visibile, perché negli anni Settanta del secolo scorso è stato intubato. Il piccolo ma importante corso d’acqua era una risorsa, ma contemporaneamente rappresentava un pericolo, per le frane e gli allagamenti che lo interessavano nei periodi di piena. Il torrente fu una delle risorse anche di un'altra istituzione religiosa cammaratese: la chiesa e il convento degli Agostiniani scalzi (Sant’Agostino), ma come per il monastero dell’Annunziata esso fu anche la causa della rovina del complesso conventuale Fu proprio a causa di una di queste frane che l’edificio benedettino fu ritenuto pericolante e abbandonato alla sua sorte.
- Nel 1621 fu badessa del monastero Giovanna Branciforti e le suore citate nei documenti sono 22.
- Nella visita pastorale del 1669 il vescovo si sofferma su diversi particolari della chiesa e del monastero, ma non tutti di rilievo per il nostro percorso. Tuttavia possono essere utili a dare una visione d’insieme della vita interna della chiesa e della comunità monastica che ne usufruiva. Il Vescovo ordinava piccole riparazioni e opere di manutenzione ordinaria degli arredi sacri; egli nello stesso tempo vigilava sull’osservanza della clausura e sul conseguente regolamento dei rapporti tra l’interno e l’esterno del monastero, secondo i dettami del Concilio di Trento e la Bolla di Papa Pio V, sulla disciplina dei monasteri femminili e la loro ubicazione dentro le mura delle città. A questo proposito, a un certo punto si legge: ”la grata sopra l’appinnata si faccia in ferro”. Forse si voleva scongiurare la possibilità che dall’appinnata ci potesse essere qualche contatto con il coro delle monache o che queste potessero comunicare arbitrariamente con l’esterno attraverso una finestra non protetta da grate sicure. Forse si fa riferimento al finestra che dalla parte superiore della chiesa, ossia dal coro delle monache, si affaccia sopra il portico (o pronao).
La vita dei monasteri benedettini ruotava intorno al “coro”, il luogo della preghiera liturgica delle monache. Spesso nei monasteri esistevano due cori, uno al livello della chiesa, quasi sempre dietro l’altare maggiore o ad uno dei suoi rispettivi lati, dove le monache si ritrovavano per le preghiere diurne o per la messa. In questo coro era collocato il “comunichino”, una grata di piccole dimensioni attraverso la quale il sacerdote celebrante dava la santa comunione alle monache. Uno era ubicato nella parte superiore della chiesa, con un accesso dai corridoi delle celle o dei dormitori, con una visuale sulla chiesa stessa, usato dalle religiose, per l’ufficio notturno o serale, quando lasciavano il piano inferiore e si ritiravano in quello superiore della clausura. Non è escluso che anche nel monastero dell’Annunziata esistesse un coro inferiore e uno superiore.
Sappiamo che il Monastero dell’Annunziata fino al Settecento aveva anche un ruolo importante nel paese, dal punto di vista amministrativo, perché vi era conservata la Cassa dei depositi delle chiese e delle confraternite di Cammarata (D. De Gregorio, Cammarata, Notizie sul territorio e la sua storia, Agrigento 1986, p. 410).
- Durante la visita effettuata nell’agosto del 1732 si parla di “perfezionamento della fabbrica”, come se si stessero facendo dei lavori di ristrutturazione o di ampliamento: viene citata una grata per gli infermi11, una porta per la clausura, il refettorio “che dona fuori” , e si dice anche “ ...le finestre aperte nel baglio si murino per essere riaperte...“
Si legge inoltre “.....anche la grata che dà sul giardino si faccia in ferro ben forte…..”, e vengono citate una grata del noviziato che dà sul giardino, e poi gli ambienti dell’infermeria e della cucina, non precisando purtroppo mai la disposizione di questi ambienti, né le loro dimensioni, né i loro collegamenti. Questa grata potrebbe essere quella della spezieria o farmacia, interna al monastero, dove si confezionavano medicamenti officinali, solitamente venduti anche al pubblico. Da qui potrebbe avvalorarsi l’ipotesi che una parte del giardino fosse destinato alla coltivazione di erbe medicinali ad uso della farmacia interna all’edificio.
- Nella visita pastorale del 1669 il vescovo si sofferma su diversi particolari della chiesa e del monastero, ma non tutti di rilievo per il nostro percorso. Tuttavia possono essere utili a dare una visione d’insieme della vita interna della chiesa e della comunità monastica che ne usufruiva. Il Vescovo ordinava piccole riparazioni e opere di manutenzione ordinaria degli arredi sacri; egli nello stesso tempo vigilava sull’osservanza della clausura e sul conseguente regolamento dei rapporti tra l’interno e l’esterno del monastero, secondo i dettami del Concilio di Trento e la Bolla di Papa Pio V, sulla disciplina dei monasteri femminili e la loro ubicazione dentro le mura delle città. A questo proposito, a un certo punto si legge: ”la grata sopra l’appinnata si faccia in ferro”. Forse si voleva scongiurare la possibilità che dall’appinnata ci potesse essere qualche contatto con il coro delle monache o che queste potessero comunicare arbitrariamente con l’esterno attraverso una finestra non protetta da grate sicure. Forse si fa riferimento al finestra che dalla parte superiore della chiesa, ossia dal coro delle monache, si affaccia sopra il portico (o pronao).
La vita dei monasteri benedettini ruotava intorno al “coro”, il luogo della preghiera liturgica delle monache. Spesso nei monasteri esistevano due cori, uno al livello della chiesa, quasi sempre dietro l’altare maggiore o ad uno dei suoi rispettivi lati, dove le monache si ritrovavano per le preghiere diurne o per la messa. In questo coro era collocato il “comunichino”, una grata di piccole dimensioni attraverso la quale il sacerdote celebrante dava la santa comunione alle monache. Uno era ubicato nella parte superiore della chiesa, con un accesso dai corridoi delle celle o dei dormitori, con una visuale sulla chiesa stessa, usato dalle religiose, per l’ufficio notturno o serale, quando lasciavano il piano inferiore e si ritiravano in quello superiore della clausura. Non è escluso che anche nel monastero dell’Annunziata esistesse un coro inferiore e uno superiore.
Sappiamo che il Monastero dell’Annunziata fino al Settecento aveva anche un ruolo importante nel paese, dal punto di vista amministrativo, perché vi era conservata la Cassa dei depositi delle chiese e delle confraternite di Cammarata (D. De Gregorio, Cammarata, Notizie sul territorio e la sua storia, Agrigento 1986, p. 410).
- Durante la visita effettuata nell’agosto del 1732 si parla di “perfezionamento della fabbrica”, come se si stessero facendo dei lavori di ristrutturazione o di ampliamento: viene citata una grata per gli infermi11, una porta per la clausura, il refettorio “che dona fuori” , e si dice anche “ ...le finestre aperte nel baglio si murino per essere riaperte...“
Si legge inoltre “.....anche la grata che dà sul giardino si faccia in ferro ben forte…..”, e vengono citate una grata del noviziato che dà sul giardino, e poi gli ambienti dell’infermeria e della cucina, non precisando purtroppo mai la disposizione di questi ambienti, né le loro dimensioni, né i loro collegamenti. Questa grata potrebbe essere quella della spezieria o farmacia, interna al monastero, dove si confezionavano medicamenti officinali, solitamente venduti anche al pubblico. Da qui potrebbe avvalorarsi l’ipotesi che una parte del giardino fosse destinato alla coltivazione di erbe medicinali ad uso della farmacia interna all’edificio.
la struttura dell'edificio
Dall'analogia con altri monasteri possiamo supporre che il refettorio e la cucina fossero contigui, che l'infermeria fosse nei pressi del giardino dei semplici, ossia delle piante medicinali, che il noviziato, quindi lo spazio per le ragazze non ancora consacrate, fosse un ambiente distinto da quello abitato dalle monache professe, secondo i criteri imposti dalla prassi canonica dei religiosi. Sempre nel verbale della visita dell'agosto 1732 si cita anche un pozzo, ma non si dice dove fosse collocato: è ipotizzabile che potesse essere nel chiostro o in una parte del giardino. Al momento non lo sappiamo ma speriamo nella futura fase di analisi del sottosuolo con il georadar di acquisire informazioni a riguardo. Spesso un lato del chiostro, con il relativo piano superiore della clausura, era parallelo alla navata della chiesa: nel nostro caso si può avanzare l’ipotesi che esso fosse proprio dove negli anni Settanta è stata edificata una palazzina condominiale a tre piani. Si parla anche più volte di una “rotam” in legno, verosimilmente la classica bussola rotante in legno presente sempre nei monasteri, che consentiva il passaggio di cibo o di beni, dall’interno all’esterno e viceversa, senza che le monache venissero in contatto diretto con i visitatori.
La ruota principale del monastero e quella più capiente era collocata accanto alla porta della clausura ed era sormontata o affiancata da una piccola grata, attraverso la quale comunicare. Nei pressi della porta vi era anche un campanello per chiamare le monache. Un'altra ruota era collocata tra la parte interna alla clausura della sacrestia e quella esterna, utilizzata per passare le suppellettili per il culto. Un'altra ruota poteva trovarsi nei parlatori, dove le monache ricevevano visite dall’esterno e si intrattenevano con i visitatori.
La ruota principale del monastero e quella più capiente era collocata accanto alla porta della clausura ed era sormontata o affiancata da una piccola grata, attraverso la quale comunicare. Nei pressi della porta vi era anche un campanello per chiamare le monache. Un'altra ruota era collocata tra la parte interna alla clausura della sacrestia e quella esterna, utilizzata per passare le suppellettili per il culto. Un'altra ruota poteva trovarsi nei parlatori, dove le monache ricevevano visite dall’esterno e si intrattenevano con i visitatori.
il monastero di Santa Domenica e dell'Annunziata
La vita del monastero dell’Annunziata è correlata a quella del monastero di Santa Domenica, che venne fondato nel 1539 da una monaca proveniente dal monastero dell'Annunziata. Si dice che Cesare Branciforte nel 1589 abbia "legato" al monastero una rendita di dieci onze annue con l’obbligo per le monache di recitare in coro settimanalmente, il lunedì, mercoledì e venerdì, i sette salmi penitenziali. Questa era una consuetudine in quei tempi: le monache si sostentavano con la dote personale o alcune famiglie facevano donazioni in cambio di preghiere.
Molte delle educande del monastero provenivano da paesi vicini a Cammarata, come Castronovo, S. Stefano e Prizzi ma alcune anche da Palermo. Riguardo a Castronovo di Sicilia, anche lì vi era un monastero benedettino attiguo alla chiesa di Santa Caterina: sarebbe interessante, qualora lo consentissero le fonti a disposizione, fare una comparazione tra i due complessi e mettere a confronto usi costumi e vita vissuta delle due comunità religiose, che si può suppore, quasi certamente, ebbero qualche forma di comunicazione.
La maggior parte delle monache appartenevano alle famiglie illustri di Cammarata, tra cui i Varsalona, i Biancorosso, i Rizzo, I Trajna, gli Alessi, i Longo, i Caracciolo, solo per elencare alcune tra le principali famiglie blasonate o alto borghesi di Cammarata. Vi si compivano “pregevoli lavori di tessitura, tappezzeria, ricamo di cui restano alcuni esempi, nelle sacrestie di alcune chiese di Cammarata" ( D. De Gregorio, op.cit., pag. 412).
Nei monasteri le educande, destinate al matrimonio, preparavano la loro dote.
Molte delle educande del monastero provenivano da paesi vicini a Cammarata, come Castronovo, S. Stefano e Prizzi ma alcune anche da Palermo. Riguardo a Castronovo di Sicilia, anche lì vi era un monastero benedettino attiguo alla chiesa di Santa Caterina: sarebbe interessante, qualora lo consentissero le fonti a disposizione, fare una comparazione tra i due complessi e mettere a confronto usi costumi e vita vissuta delle due comunità religiose, che si può suppore, quasi certamente, ebbero qualche forma di comunicazione.
La maggior parte delle monache appartenevano alle famiglie illustri di Cammarata, tra cui i Varsalona, i Biancorosso, i Rizzo, I Trajna, gli Alessi, i Longo, i Caracciolo, solo per elencare alcune tra le principali famiglie blasonate o alto borghesi di Cammarata. Vi si compivano “pregevoli lavori di tessitura, tappezzeria, ricamo di cui restano alcuni esempi, nelle sacrestie di alcune chiese di Cammarata" ( D. De Gregorio, op.cit., pag. 412).
Nei monasteri le educande, destinate al matrimonio, preparavano la loro dote.
A causa delle ristrettezze economiche di entrambi i monasteri, nel 1792 fu deciso che le monache vivessero insieme sei mesi alla Giangiarana e sei mesi a Santa Domenica, ma presto ci si rese conto che ciò avrebbe significato mantenere contemporaneamente due monasteri e due chiese e si decise di unire definitivamente le due istituzioni per migliorarne la condizione economica. Inoltre il monastero dell'Annunziata ebbe problemi statici perché da un manoscritto su Crocifisso della Gianguarna, D. De Gregorio nel suo " Cammarata, Cronache dei secoli XIX e XX" a pag. 626 scrive:
"Nei primi mesi del 1792 incominciò a crollare il monastero di Maria SS.Annunziata e quindi al 10 maggio 1792 giunse in questa speciale ordine del governo comunicato al signor Vicario Capitolare di Girgenti di dover uscire tosto le monache tutte e riunirsi in quell'altro di Santa Domenica. A tale ordine furono ubbidienti le seguenti monache cioè: Sr. Caterina Coniglio, Sr. Domenica Frenda, Sr. Antonina Gozzino e Sr. Maria Antonia Coniglio le quali vi confluirono nel giorno 19 maggio 1972. Le altre però seguenti furono renitenti e condotte in quel secondo monastero forzatamente, dietro anco altro ordine del governo e cioè Sr. D. Marianna Gandolfo, Sr. Felicia Biancorosso, Sr. D. Carmrela Taglareni, Sr. D. Rosalia Giarratana, Sr. D. Maria Giuseppa Tagliareni le quali con una delle converse furono ivi introdotte a 24 luglio 1792"
“Le 10 coriste e le 4 sorelle converse” dalla Gianguarna si trasferirono al monastero di Santa Domenica, che da allora venne denominato infatti “di Santa Domenica e dell’Annunziata”.
Nel 1835 nel Monastero congiunto le monache si erano ridotte a 13 con l’aggiunta di una novizia (Pasca, 1837, p. 39). L’ultima badessa di S. Domenica fu suor Maria Filomena Veniero che riformò il monastero per riportarlo ad un’osservanza più rigorosa alla regola. La badessa cercò in ogni modo di impedire la soppressione del monastero nel 1866 ma invano. Le monache vennero strappate a forza dal monastero per essere trasferite in quello di S. Spirito di Agrigento dove, però, non arrivarono mai preferendo rimanere presso le loro famiglie (De Gregorio, 1986, pp. 417-420).
Nei locali del monastero dell’Annunziata e di Santa Domenica trovò sede il Municipio del paese.
L’edificio abbandonato del monastero dell’Annunziata ha cominciato a rovinare.
"Nei primi mesi del 1792 incominciò a crollare il monastero di Maria SS.Annunziata e quindi al 10 maggio 1792 giunse in questa speciale ordine del governo comunicato al signor Vicario Capitolare di Girgenti di dover uscire tosto le monache tutte e riunirsi in quell'altro di Santa Domenica. A tale ordine furono ubbidienti le seguenti monache cioè: Sr. Caterina Coniglio, Sr. Domenica Frenda, Sr. Antonina Gozzino e Sr. Maria Antonia Coniglio le quali vi confluirono nel giorno 19 maggio 1972. Le altre però seguenti furono renitenti e condotte in quel secondo monastero forzatamente, dietro anco altro ordine del governo e cioè Sr. D. Marianna Gandolfo, Sr. Felicia Biancorosso, Sr. D. Carmrela Taglareni, Sr. D. Rosalia Giarratana, Sr. D. Maria Giuseppa Tagliareni le quali con una delle converse furono ivi introdotte a 24 luglio 1792"
“Le 10 coriste e le 4 sorelle converse” dalla Gianguarna si trasferirono al monastero di Santa Domenica, che da allora venne denominato infatti “di Santa Domenica e dell’Annunziata”.
Nel 1835 nel Monastero congiunto le monache si erano ridotte a 13 con l’aggiunta di una novizia (Pasca, 1837, p. 39). L’ultima badessa di S. Domenica fu suor Maria Filomena Veniero che riformò il monastero per riportarlo ad un’osservanza più rigorosa alla regola. La badessa cercò in ogni modo di impedire la soppressione del monastero nel 1866 ma invano. Le monache vennero strappate a forza dal monastero per essere trasferite in quello di S. Spirito di Agrigento dove, però, non arrivarono mai preferendo rimanere presso le loro famiglie (De Gregorio, 1986, pp. 417-420).
Nei locali del monastero dell’Annunziata e di Santa Domenica trovò sede il Municipio del paese.
L’edificio abbandonato del monastero dell’Annunziata ha cominciato a rovinare.